18/07/2007 – Mostra Internazionale documentativa PUBLIC ART

Sala di Palazzo Costanzi, Ex Albo Pretorio, Trieste
Museo d’arte Moderna Ugo Carà – Muggia (TS)

a cura di Maria Campitelli in collaborazione con Elisa Vladilo

opening a Palazzo Costanzi
martedì 24 luglio ore 18.30, fino al 2 settembre 2007
orari: tutti i giorni compresi festivi, 10/13 – 17/20

opening al Museo d’arte Moderna Ugo Carà di Muggia (TS)      mercoledì 1° agosto, ore 18.30, fino al 28 agosto 2007
orari: feriali 17/19; giovedì anche 10/12

Nella complessa operazione “Public Art  Trieste e dintorni”  promossa dal Gruppo 78, questa mostra – ospitata a Trieste a Palazzo Costanzi e all’ex Albo Pretorio, a Muggia al Museo d’Arte Moderna Ugo Carà –  svolge un ruolo determinante per l’informazione sull’argomento specifico, fornendo una serie di esempi di arte pubblica  tratti da alcuni suoi protagonisti in Italia e all’estero.  Non è certo esaustiva, né potrebbe mai esserlo, tenta soprattutto di evidenziare le diversità che ci sono fra l’accezione italiana di “Arte Pubblica” e in genere potremo dire, mediterranea, del sud Europa, rispetto all’accezione di alcuni paesi dell’Europa Settentrionale, Gran Bretagna in testa. Nel nord infatti, e soprattutto in Gran Bretagna,  l’Arte Pubblica è un concetto esaustivamente acquisito a livello istituzionale, tant’è che esiste la facoltà universitaria di “Arte Pubblica”,  che il rinnovamento qualitativo ambientale  di territori degradati passa attraverso la realtà a volte persino eccessiva di concorsi e partecipazioni di “arte pubblica”, nel senso che si esercita massivamente con rischi di approssimazioni, come nel caso dell’arteria A13 , la principale via di accesso a Londra  dal sud-ovest del paese. Lo afferma l’artista Alberto Duman  e lo testimonia il suo intervento “people live here”, progettato appunto per la A 13, in cui dirotta l’attenzione verso la gente che abita nei quartieri adiacenti all’autostrada, spesso costituita da stranieri o “emarginati in transito”, mentre con altri interventi si è preferito realizzare ingombranti (ed inutili) presenze nei  numerosi “shopping villages” che circondano gli insediamenti residenziali, concepiti secondo un “modello fallimentare di urbanesimo periferico”.  Il discorso sarebbe lungo e complesso, non iscrivibile in una breve premessa, come questa, ad una mostra esemplificativa.

In Italia, negli ultimi tempi, e direi a partire dall’affermazione della realtà “Oreste” alla Biennale del 1999  predomina invece l’interpretazione comunicativa-socio-relazionale. Gli artisti italiani optano per un intervento diretto con la gente, facendola partecipe del progetto creativo, in certi casi con un’evidente incidenza socio-politica, per tentare di cambiare le cose. Nel nord si realizzano più site/specific, e Muenster con Skulptur Project – che abbiamo la fortuna di presentare all’interno dell’evento triestino – lo testimonia in modo inequivocabile; in Italia ci si attiva di più a sensibilizzare la gente ai problemi  che la riguarda direttamente, predisponendo una coscienza critica che aiuti a migliorare la qualità esistenziale ed ambientale, come fanno Bert Theis, Osservario in Opera, Paola Di Bello a Milano, AnnaLisa Cattani, Emilio Fantin a Bologna e nel mondo, per citarne solo alcuni. I primi tre hanno lavorato soprattutto attorno al problema della Stecca degli Artigiani all’Isola Garibaldi, la struttura fatiscente in mezzo ad un vasto terreno libero, occupata da artisti ed associazioni con l’intento di preservarla dalla speculazione edilizia. Proposito purtroppo di recente fallito con l’abbattimento della struttura stessa.

Emilio Fantin e Giancarlo Norese  sono stati tra i promotori di “Oreste”; alla Biennale del 1999 hanno gestito, con altri artisti, uno spazio di incontro e di relazione, di scambio di informazioni, determinando quell’”arte live che si attua mediante una pratica performativa radicale”, come ha scritto Lorenza Perelli in  “ Public Art, Arte, interazione e progetto urbano, ed. FrancoAngeli, 2006. Fantin  svolge per conto suo  una ricerca sui rapporti interpersonali, sulle “ultime frontiere relazionali”, sugli “incontri interiori” come testimoniano i suoi video; che documentano  anche il “trekking” da un monte all’altro dell’Apennino Tosco-Emiliano, con qualche eco di Richard Long , e “Apocalisse”, ovvero l’incredibile avventura di un artista per accedere, in qualità di fornitore di servizi per il pubblico,  alla Biennale.
Le fotografie di Giancarlo Norese ci riportano a quel quoziente di creatività,  di implicita potenzialità d’altri sensi che esiste nelle cose così come stanno, certo con un fondo di irriducibile cultura situazionista. Basta sollecitare altre letture, per individuare nuove prospettive.
Annalisa Cattani racconta avventure performative, ideate per incontrare l’altro  e capire le sue problematiche nascoste,  o documenta azioni  artistiche  intese come “motore che rimette in gioco percorsi di senso e di memoria” (“venti, trenta, quaranta metri, Rocca Stellata di Bondeno, Ferrara, 2006).
Paola Di Bello ha partecipato alle “azioni”  di salvaguardia della Stecca degli Artigiani con  “un ritratto del quartiere Isola”, fissando con il clic intere famigliole  sullo sfondo dei grattacieli inquadrati dalle finestre della Stecca, minaccia incombente ed invasiva di spazi ancora liberi ed aperti alla gente del posto.
E Bert Theis, l’animatore di tutto il movimento, è presente, oltre che con i documenti di OUT – l’”Ufficio per la trasformazione urbana”  che prende in considerazione anche quartieri di Mexico City e Tirana – con quelli di alcuni progetti, le cosiddette Platforms, impiegate in diverse situazioni , da “Arte all’Arte”  a “Skulptur Projekt”, 1997 di Muenster. Sono piattaforme “filosofiche”, pensatoi, luoghi di pausa e riflessione, ideati per migliorare la qualità della vita negli spazi pubblici.
Osservatorio in Opera, composto da Piero Almeoni, Paola Sabatti Bassini, Roberta Sisti, da parte sua ha contribuito alla causa della Stecca con dei video, con  i “Bollettini”  n. 1 e 2 , considerando nel primo la violenza praticata  in genere su opere e  luoghi d’arte, nel secondo  raccogliendo i desideri e la denuncia da parte della popolazione dell’Isola Garibaldi contro la speculazione edilizia e il potere politico. Entrambi sono stati esposti, assieme alla simpatica bolla con la neve “Souvenir da Milano” alla recentissima mostra dell’aprile 2007, allestita alla stessa Stecca poco prima della sua demolizione.
Anche Bastiaan Arler, olandese trapiantato in Italia,  compie “azioni performative” che inducono a riflettere sulle nostre modalità esistenziali .”Syntax Error” è una performance  paradigmatica che simbolicamente traccia, con un gruppo di performer mascherati, in uno spazio prestabilito,  i percorsi quotidiani  di milioni di cittadini nella routine di un sistema di vita omologato, inconsapevolmente accettato e condiviso. Il percorso qui è guidato dall’artista che ne ha programmato i movimenti, ispirandosi al linguaggio del computer, ma…scappano degli “errori di sintassi”.

Il duo Steinbrener – Dempf  di Vienna, opera sul territorio urbano, inseguendo dunque il rapporto arte/città. Di grande efficacia l’intervento “Delete” – realizzato nell’estate 2005, al settimo distretto, e qui documentato – con la sparizione, per due settimane, di tutte le insegne, pubblicità, slogans,  che costituiscono il tessuto semiotico di un’arteria cittadina. Ovvero azzeramento dell’assordante, insistente comunicazione commerciale che, nell’onnipresenza e nell’iterazione, si vanifica comunque nella ricezione del cittadino. Due inaspettate settimane di silenzio,  con le insegne imbavagliate dal tessuto giallo, che in ogni caso propongono una nuova lettura di quella strada. Anche l’altra coppia di artisti,  i fratelli Maik e Dirk Loebbert, interviene sull’architettura e l’ambiente urbano. Le foto tratte dal progetto “Anonymus” documentano una curiosa operazione: quella di citazioni di interni, dislocati però su percorsi pubblici,  come “Gardarobe”, ”Dressing Room”…realizzati con il recupero di oggetti di scarto, nel concetto dunque del riciclo. Mini-installazioni, abbandonate poi a se stesse, soggette al logorio del tempo e alla naturale decomposizione.

I giovani archietti dello Studio Topotek 1 di Berlino rielaborano l’immagine dello spazio attraverso la realizzazione di parchi e paesaggi. Si definiscono infatti architetti del paesaggio organizzando spazi aperti con soluzioni formali e strutturali di intensa valenza estetica. Non  disdegnano tuttavia di realizzare interventi all’interno di strutture architettoniche come nel cortile del palazzo realizzato per il Bayer Pension Plan, lungo l’Unter del Linden, a Berlino, che si trasforma in un “tappeto, una tappezzeria antica, un broccato”.  Il titolo è infatti “Broderie”.  Ma non da meno sono i “giardini circolari” realizzati a Wolfsburg in occasione dell’esposizione di orticultura del 2004, o l’austera sistemazione di un giardino monastico per l’antica certosa di Padula.

La belga Lieve van Stappen  è qui presente con un lavoro imperniato sul recupero di memoria relativo alla prima guerra mondiale, che, nel suo territorio  ha lasciato abbondanti tracce  della tragedia consumata sul “fronte occidentale”. Una memoria risucchiata dall’oblio delle nuove generazioni, eredi ignare di quel retaggio storico, anche se passato attraverso i loro remoti familiari.

Elisa Vladilo infine conclude  questo ciclo espositivo con una serie di lavori legati a varie esperienze, dalla casa, luogo di una residenza  artistica a Sinj Vrh (Slovenia) trasformata  in virtù della quadratura coloratissima disposta in facciata,   alla recente “pioggia di musica in via delle ombrelle”, con tele variopinte  tirate da un estremo all’altro della strada, dalle “striscie pedonali rosa” realizzate a Genova, all’intervento all’interno della Fabbrica del Vapore a Milano. Colori e gioco, secondo la sua consuetudine, irrompono nei luoghi prescelti, rianimandoli, riversando in loro veramente nuova linfa vitale.

La mostra si arricchisce con la proiezione video di Skulptur Projekt di Muenster, attualmente in corso, la più grande manifestazione europea di Public Art come site-specific, unita a quella di dieci anni fa, cui hanno partecipato tra i più grandi protagonisti internazionali della Public Art da Vito Acconci a Dan Graham, Daniel Buren… La documentazione video è curata da Mario Gorni di C/O Careof di Milano.
A questa si unisce anche il video  di Paolo Ravalico Scerri “Transforms”,  che documenta un evento di Public Art  avvenuto a Trieste, nel 2001.
Inoltre il 23  agosto, presso il Museo d’arte Moderna Ugo Carà  sarà presentato il concorso per la facciata del museo stesso: “La superficie mutevole per opere reversibili”, un progetto dell’architetto Claudio Farina.

                

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